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Riflessi di mare in un labirinto


 
di Franca Canero Medici

 

In questo romanzo ho arrotolato in una sorta di caleidoscopio i miei fogli e la mia anima, per farne un tubo misterioso, in cui i motivi e le vite degli autori e dei personaggi di tutti i miei precedenti scritti seguitassero a riflettersi in un gioco di specchi, come se fossero dei piccoli oggetti di vetro, protetti nel fondo nascosto della mia “macchina visionaria”. E in questo intenso gioco di luci e di ombre, in una sorta di metaromanzo, mi sono trovata inevitabilmente a riflettere, nella metafora di un racconto,  anche sul significato che per me ha la scrittura, e sull’influenza che su di questa hanno avuto le mie tante letture, “ostinate e contrarie”, per dirla con le parole di Fabrizio De André.  Il mio nuovo passante è allora un autore che ritorna a Etretat, dove ha scritto il suo primo romanzo, per ritrovare il suo corpo che, più di venti anni prima, ha lasciato di fronte alla scogliera d'alabastro a guardare l'oceano, in attesa di un futuro. E in questo viaggio a ritroso nel suo passato, con un bagaglio sulle spalle, in cui ha piegato in un fagotto improvvisato il suo scrittoio da campo e i suoi pensieri, come un antico viaggiatore, si apre di fronte ai suoi occhi una sequenza di ricordi e di immagini. Un gomitolo misterioso e avvincente di storie che lo portano a smarrirsi e insieme a ritrovarsi in un labirinto, dove il tempo perduto si intreccia inevitabilmente con la cruda realtà del presente. Ritornano allora tutti i personaggi del mio romanzo precedente, seppure in forme e in circostanze mutate, anche se in molti casi le analogie sono a dir poco sorprendenti. Ritorna soprattutto il mio bisogno di “correggere qualcosa di storto”, che continua a spingermi a scrivere. Anche in un debito di gratitudine verso i miei tanti "cattivi maestri" che, a cominciare da Fabrizio De André, mi hanno insegnato a guardare il mondo di traverso, con uno sguardo obliquo. Perché questo, come sembra suggerire l'anamorfosi palindroma di San Francesco da Paola, che si trova a Roma a Trinità dei Monti, ci permette di continuare a sperare che il miracolo dell'attraversamento delle acque possa ancora riflettersi.


 

24-01-2023

Uno stralcio di Vinicio Capossela in esergo evoca l’Ulisse di Omero che, nella mitica terra dei Cimmeri, interroga lo spirito di Tiresia sul proprio destino. Curiosamente è cimmero anche Ukko Athi, l’autore di uno dei dieci incipit di “Se una notte d’inverno un viaggiatore” di Italo Calvino, che aleggia tra le righe di questo secondo romanzo di Franca Canero Medici, insieme agli altri “cattivi maestri” cui l’autrice dedica l’opera. Alessandro, il protagonista scrittore, riceve arcani indizi sul futuro non dal cieco indovino, però, ma da un vecchio mazzo di tarocchi nel corso di un gioco molto intellettuale con gli “scrittori fuggiti”. Egli riprende segretamente i fili di una storia incompiuta e asseconda la grande velleità di ogni nostalgico: tornare nel passato per risanarlo (“correggere qualcosa di storto”, dice più volte l’autrice). Ma se per i più quella resta solo un’illusione, per un romanziere può diventare qualcosa di più concreto: infatti solo lui è in grado di riscrivere una storia. Alessandro vorrebbe recuperare il suo corpo abbandonato ventidue anni prima sulla spiaggia di Étretat. Si tratta solo di una metafora? Quel giovane corpo di romanziere esordiente era stato il primo segnaposto sul labirinto del “gioco dell’oca” della sua successiva vita di scrittore. Tuttavia un gioco è sempre insieme leggero e serio, ci ricorda l’autrice. Alessandro aveva poi perso i suoi sogni ad uno ad uno, come pezzi degli scacchi in una partita impari col destino. Lui però intuisce che il ritorno sui propri passi sarà l’unico modo per andare avanti.

Per Alessandro la scrittura è un’urgenza che lo fa sentire invaso da parti di sé “che chiedono di venire alla luce”. I suoi romanzi -come quelli di Franca Canero Medici- sono metafore “che si rincorrono e si allacciano” a sua insaputa, attraverso luoghi arcani (come le due colonne di un misterioso tempio del passato), siti dell’anima (come il Porto di Ripetta e la Chiesa di San Girolamo dei Croati a Roma, e Cavtat in Croazia), e una valigia che appare e scompare da un romanzo all’altro. La scrittura di Alessandro -e quella di Franca Canero Medici- è il viaggio su un’imbarcazione il cui timoniere ignora la destinazione, che porta al rinvenimento di “una riserva inesauribile di significati”, tesori inimmaginabili al pari di quelli della “guglia cava” di Arsenio Lupin. La scrittura è qui “il bisogno di mettere un messaggio in una bottiglia e affidarla all’oceano”, e i personaggi creati, proprio come i figli, devono essere lasciati liberi di andare; loro sanno che i loro autori, come genitori trepidanti, non smetteranno di proteggerli. Il romanzo di Franca Canero Medici innesca quindi processi metaletterari in cui trova spazio una significativa riflessione sulla scrittura. All’interno di questa, l’attenzione si porta sull’origine dell’ispirazione, “qualcosa che sta per nascere e che insieme ha dietro di sé un lungo passato”.

Anche questo secondo romanzo di Franca Canero Medici offre al lettore documentate e pertinenti notazioni geografiche, che gli consentono di aggirarsi nei luoghi dei fatti narrati con un’aderenza percettiva che facilita ed esalta la partecipazione emotiva alle vicende dei personaggi. Il talento immaginifico nella presentazione dei giardini di Étretat e delle sue scogliere dall’abbagliante biancore genera un’attrazione irresistibile. Le accurate descrizioni dei paesaggi spesso regalano suggestioni liriche e oniriche ma non sono mai fini a sé stesse, e si accompagnano spesso a squarci folgoranti sull’animo umano.

Ellis, della Compagnia degli scrittori fuggiti, afferma che ogni scrittore inventa “un teatrino di maschere e di personaggi per non restare da solo quando viene la morte”. La scrittura scongiura così anche la solitudine polare e terminale di ogni lettore.

Cristiana Bullita

16-01-2023

Franca Canero Medici sa come stupirci e sa, cosa non comune a tutti gli scrittori, come accompagnarci dentro un sogno di memoria portandoci dentro come se quel sogno fosse il nostro sogno. Perché anche nei sogni c'è una "normalità" e una trama. Quella sottile di una memoria lontana che però è sempre presente e basta un alito di vento, un profumo catturato nell'aria, una voce che non ci appartiene, e mai ci è appartenuta, per risvegliarla e renderla presente. È la memoria di ciò che forse, in un altro tempo, siamo stati, abbiamo respirato, parlato, e forse amato. Così come si amano i luoghi segreti dell'anima.

"Riflessi di Mare in un labirinto" è il romanzo di un ritorno, ma anche il romanzo di un'assenza che il filo della memoria tiene ancora sospesa come si tengono sospesi i sogni perché così possono continuare a vivere. Un sogno che si realizza smette di essere sogno. E il sogno di una "lampada magica" continua a "riverberarsi in nuove immagini" dentro una "macchina visionaria" che è il pensiero della vita del ci siamo adesso e in questo momento e sempre e in tanti momenti, perché la vita di questo è fatta: di tanti momenti che ci riportano al mondo. Il nostro mondo? forse. Dove le parole si fanno poesia, si fanno immagini, si fanno aurore e tramonti ma, soprattutto, si fanno Nostalgia. Di ciò che è stato di ciò che non è stato, di ciò che potrà essere. Franca ha capito che la Nostalgia del passato è normale, va da sé. Ciò che invece scava la nostra anima è la nostalgia del futuro, quella che non potremo avere e che cerchiamo di immaginare, di incrociare in qualche vicolo, dove la vita si impiglia e ne rimane attratta. Ma tutto questo non sarebbe Poesia se mancasse l'orizzonte del mare dove ogni storia diventa quasi reale perché il mare, le sue onde che si ripetono, ora lente ora veloci sono un invito ad essere liberi." (Giovanni Gelsomino)